LA COMUNITÁ PARROCCHIALE DI S. LORENZO DA BRINDISI
SI RIPETE IN UN GESTO DI AMORE FRATERNO

  CENA   E    PRANZO 
CON  I  FRATELLI  BISOGNOSI

10-11.01.15

Sapevo che i poveri in Italia sono tanti e che sicuramente in una città in crisi come Taranto non poteva mancare una “adeguata” rappresentanza di questa categoria, ma vederli tutti insieme e così tanti mi ha fatto molto pensare.

Innanzi tutto il primo pensiero è stato rivolto al numero delle persone che affollavano la sala, poi mi sono chiesta se fossero presenti solo una piccola parte delle persone bisognose della città. Il giorno dopo, infatti, i partecipanti al pranzo sono aumentati.

Il sabato sera, durante la preparazione della cena, ero un po’ tesa, troppo preoccupata di essere efficiente e svelta per aiutare le mie colleghe e i volontari che numerosi affollavano la sala.

Ho anche pensato che forse il nostro numero soverchiasse eccessivamente quello dei poveri.

Così, dopo aver constatato che l’aiuto non mancava e la catena di montaggio messa in moto era efficiente e funzionale, ho cominciato a guardarmi intorno, a guardare i “poveri” e non solo i piatti e le porzioni.

I bisognosi sono entrati velocemente nella sala, occupando i posti a tavola, quasi in silenzio, abbastanza composti e poco rumorosi.

Hanno atteso pazientemente la benedizione del parroco e il suo invito a ringraziare Dio, ognuno secondo la propria religione. Poi ha dato loro il benvenuto, ed hanno cominciato a mangiare.

Scrutando i loro volti ho visto una umanità composita. Mi aspettavo molti “barboni”, quelli che si trovano alla stazione, sporchi e sciatti, e invece c’era gente dignitosa, pulita, ma triste.

Mi ha particolarmente colpita una signora, abbastanza ben curata, con modi educati che è andata via in bicicletta.

Mangiava in uno dei tavoli laterali, aggiunti in un secondo momento per gli ultimi arrivati.

Era sola, mi sembrava triste e rassegnata al suo destino, spinta dal bisogno a mescolarsi con la moltitudine di altri sconosciuti accomunati a lei solo dalla fame e forse anche dalla necessità di un contatto umano.

Ma chi sono questi poveri mi sono chiesta? Poveri per quale motivo? Per la crisi che ha portato via loro i risparmi, la casa, per un divorzio, per uno stile di vita sbagliato?

Ecco forse questo è mancato, almeno a me, durante la mensa, capire e relazionarmi con chi era oggetto della mia cura.

Mi sono chiesta se l’approccio umano fosse stato carente, se fossi riuscita a trasmettere loro qualcosa, quando andavano via salutando sorridendo.

E dietro quei sorrisi cercavo di intravedere le loro storie, le loro necessità, proiettavo su di loro me stessa e le mie ansie del domani.

Ma queste persone, mi dicevo, non hanno neppure la certezza del pranzo di domani, se sarà loro permesso indossare abiti puliti o lavarsi.

Come può l’essere umano vivere nell’incertezza del domani, dell’avvenire, bisognerebbe essere santi, affidarsi a nostro Signore completamente!

Ma loro, noi, siamo Santi? Loro, noi, lo  sappiamo fare, abbiamo imparato a farlo?

Allora vorrei sapere le loro storie, conoscere le loro esperienze, i loro pensieri e processi mentali che li hanno resi adattabili alla mancanza di tutto, perché quando manca il cibo manca tutto!

Ecco cosa mi è mancato, cosa mi ha resa insoddisfatta, non dell’esperienza, ma di me stessa.
Ero là spettatrice lontana, impiattavo e smistavo, ma impersonale, lontana, austera e fredda come una cariatide.
Bella esperienza aver visto la solidarietà di tanti parrocchiani che a piene mani hanno portato cibi, bevande e tutto il necessario perché l’evento si potesse svolgere in piena armonia e soddisfazione.

Quando la fame si quieta all’uomo restano insoddisfatti ben altri appetiti, quelli che dovrebbero andare sotto il nome di “dignità” che dovrebbe essere concessa a ciascuno di noi, che permette di essere autosufficienti e soddisfatti di sé.
I volti degli anziani, raggrinziti dagli anni e dalle vicissitudini della vita mi hanno riportata lontano nel tempo, forse per deformazione professionale.

Mi sembrava di essere ad una festa religiosa pagana, unica occasione per i poveri di mangiare la carne durante il sacrificio pubblico alla divinità, momento di condivisione e di vicinanza tra appartenenti a classi sociali diverse.

Ma eravamo nel XXI secolo e per fortuna in nome del Dio unico l’uomo sa ancora donare,
soprattutto se adeguatamente sollecitato e ben instradato.

di Stefania Peluso
 

Come i ragazzi della Gifra hanno vissuto l’evento.

Ciao sono Federica, tra sabato 10 e domenica 11 Gennaio, la parrocchia ha offerto una cena e un pranzo a fratelli e sorelle disagiate. É andata molto bene.

Personalmente ho contribuito a servire ai tavoli, come una cameriera in un ristorante. E loro erano i clienti. Ero con la mia fraternità, la Gioventù Francescana di Taranto…

Queste giornate sono state bellissime. Non è stata la mia prima esperienza alla mensa, perché ho già contribuito in altri anni, però ogni volta è stata sempre un’ emozione diversa.

Vedere quei sorrisi su quei volti, che non hanno motivo per sorridere è sorprendente. Conoscevo la storia di sofferenza di alcuni di loro, eppure tutti sorridevano.

Storie di povertà che si stanno moltiplicando, ma loro continuano a lottare. Ricevere quei grazie, mi ha reso felice. Chiunque avrebbe pensato, o detto “Ci mancherebbe che non dicessero grazie!…”

GRAZIE, lo dovevo dire io a loro, di avermi regalato anche soltanto per due giorni, un’emozione che non si può descrivere…
Pace e Bene – Federica

Sabato 10 e Domenica 11 Gennaio, la Gioventù Francescana ha servito i “poveri e ultimi come fratelli” nella cena e pranzo con poveri.

All’interno di queste due giornate mi piaceva osservare i volti di questi fratelli e sorelle che, nonostante le loro situazioni e disagi, avevano sempre un motivo per sorridere e forse è proprio questo sorriso che li fa andare avanti.

Alcuni di loro erano gentili, altri si vergognavano anche a chiedere qualche cibo in più. Noi gifrini siamo stati chiamati a servirli.

I ragazzi che svolgevano per la prima volta quest’esperienza erano titubanti e hanno cercato aiuto nei ragazzi più grandi. Un grazie va ai gifrini più grandi che hanno aiutato i più “piccoli” ad affrontare questa nuova esperienza.

Sono state due giornate molto forti, impegnative e ricche di emozioni. Al termine eravamo pieni di entusiasmo e con la voglia di rifare quest’esperienza.

Queste, per noi gifrini, sono giornate che porteremo nel cuore e faranno parte del nostro grande bagaglio che ci sta aiutando a crescere.

Grazie a tutti questi fratelli e sorelle e ad ognuno di loro, che ci hanno donato sorrisi e allegria. Grazie a Padre Francesco che ci ha permesso di svolgere questo servizio.


Rita Sgobbio